Man Ray: la tensione tra fotografia e pittura negli anni delle avanguardie


"Dipingo ciò che non può essere fotografato e fotografo ciò che non desidero dipingere. Se mi interessano un ritratto, un volto o un nudo, userò la macchina fotografica. (...) Ma se è qualcosa che non posso fotografare, come un sogno o un impulso inconscio, devo far ricorso al disegno o alla pittura".

Quest'affermazione contiene già l'essenza dell'animo di Man Ray, fotografo per "costrizione", pittore per passione. Man Ray è un puro sangue, vola sulle note dell'immaginazione, è animato da quella passione sfrenata, difficilmente arginabile dal classicismo e dalla retorica di cui sono pervasi gli studi scolastici e accademici agli inizi del Novecento, per l'arte in tutte le sue sfaccettature. 

Man Ray non si adatta al rigore formale dettato nelle scuole, alla rigidità degli insegnamenti dell'epoca. La sua mente vuole sognare, ha bisogno di sintonizzarsi con gli aspetti più reconditi della sua anima e ciò non gli permettere di adeguarsi ai soggetti tradizionali. La sua indole viene esaltata ancor di più dall'incontro-scontro con l'Istituto d'Arte Francisco Ferrer Social Center, il cui carattere libertario e anarchico ha il merito di spronare il giovane Man Ray a frugare ancor più nelle sue capacità. Intuisce, ben presto, di essere affascinato dalle avanguardie novecentesche, che trovano la loro culla nella vecchia Europa. Man Ray stringe infatti rapporti con dadaisti e surrealisti senza mai sentirsi troppo vincolato all'uno o all'altro movimento. 

"Non sono in anticipo rispetto al mio tempo: vivo solo nel mio tempo e cerco solo di essere me stesso".

Essere se stessi. Non aderire pienamente ad alcun movimento. Non è una missione, quella di Man Ray, ma una forte consapevolezza delle sue abilità. Nel 1966, in occasione della retrospettiva che si  tiene a Los Angeles County Museum of Art, egli consegna il testo di presentazione della mostra introdotto dal titolo I have never painted a recent picture, prova del suo atteggiamento cronologico (e antiestetico) verso le sue stesse opere.

Scharz definisce il suo legame con la fotografia un rapporto di amore-odio. Aragon scrive di lui come di un artista che imbastisce "una sfida non comune quella di imitare la fotografia con la pittura e di imitare la pittura con la fotografia". Dieci anni dopo le parole di Aragon risuonano come l'eco del pensiero stesso di Man Ray: 

"Ho fatto fotografie che possono essere scambiate per dipinti e dipinti ispirati a fotografie".

E ancora:

"Non c'è niente di sbagliato nell'essere accusato di dipingere con una macchina fotografica o di fotografare con il pennello".

Da un atteggiamento di fiera ammissione del proprio operato, in sintonia con la piena realizzazione di se stesso, Man Ray si pone sulla difensiva, dimostrando la tensione che egli ha, da sempre, vissuto nel suo rapporto tra fotografia e pittura

Un fatto risalente al 1937, molti anni addietro rispetto alla retrospettiva di Los Angeles, in un momento artistico in cui la fotografia gli permette una stabilità economica che la pittura non riesce a   dargli, Ma Ray pubblica una cartella di dodici fotografie riportante un cappello introduttivo scritto da André Breton: La fotografia non è arte. All'interno si legge anche L'arte non è fotografia (come a ribadire la forza perentoria del concetto stesso). 

Nonostante Man Ray non si sia mai dichiarato aderente in toto al movimento surrealista, André Breton farà appello più volte alle sue opere come esempi chiarificatori del concetto di sogno, libertà, immaginazione e automatismo psichico puro. Difatti l'opera di Man Ray Puericulture (1920), che rappresenta il primo oggetto onirico della sua produzione artistica, viene trattato da Breton pochi anni dopo ne Introduction au discours sur le peu de réalité: quest'opera rappresenta una mano infantile dipinta di verde e usata come vaso da fiori. In seguito Ma Ray dichiara di aver fatto un sogno relativo un groviglio di mani che spuntano dal fondo di un strada mentre lui tenta di farsi spazio tra quel groviglio. 

I suoi rapporti con Duchamp e  Picabia stimolano sempre più un carattere libero per predisposizione innata tanto che Duchamp stesso definisce la libertà di Man Ray pura gioia, gioco e piacere. Un piacere che ha bisogno di nutrimento continuo, rinnovazione, sempiterna alternanza tra la fragilità tradizionale e la potenza insita nella sperimentazione. 

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