Pensar, Pensar y Pensar di José Saramago: letteratura, religione e politica di un grande pensatore

Spero non abbiate pensato che avessi abbandonato la lettura e quindi l'abitudine a recensire libri italiani e stranieri. Nelle ultime due settimane mi sono imbattuta nella lettura di tre libri che, a partire da oggi, presenterò tra le pagine di questo blog. In un qualche modo questi libri sono in linea con gli argomenti  affrontati giornalmente come il new realism, il realismo magico, il surrealismo e l'arte nel senso lato del termine.
La cosa interessante è che non ho scelto questi libri, al contrario mi sono stati regalati da un persona che, evidentemente, conosce a fondo i miei gusti letterari.



Pensar, Pensar y Pensar di José Saramago è il primo libro di cui vorrei parlare. La scelta, questa volta, non è casuale in quanto, come avrò modo di spiegare, apre la strada ad un dibattito molto attuale che sfocerà negli altri due romanzi. Pensar, pensar y pensar è una raccolta di scritti e interviste (come dice il sottotitolo al libro) edita da Datanews verso la fine del 2010. Poche pagine, circa un centinaio, ma intense, pregne di storia universale e personale, di pensieri, annotazioni, ricordi di Saramago. E' un flusso di coscienza che, tuttavia, porta con sé una visione chiara della società, degli sconvolgimenti storici che hanno condizionato le sue idee e quelle di chi gli è stato accanto, della letteratura come fonte dalla quale attingere per raccontare di sé e del mondo.

A tal proposito ho apprezzato le parole di Saramago relative la letteratura: "mi interessa sempre meno parlare di letteratura perché mi interessa sempre più parlare di altre cose. Questo non significa che non voglio parlare di letteratura. Se non parlassi di letteratura, non parlerei di me. E come potrei vivere senza parlare di me?" e poi aggiunge "la letteratura non va enfatizzata (...) è un modo per comunicare, per esprimersi, per dire cose. Come la pittura, la musica, la scultura, il ballo". 

In questi scritti, Saramago presenta le personalità di Kafka, Borges e Pessoa che hanno avuto un peso nel secolo scorso. Saramago, con grande lucidità e semplicità, racconta (voglio usare questo termine in quanto le sue argomentazioni si trasformano, sempre e in ogni caso, in racconti, in storie) come Kafka sia colui che ha aperto la strada al secolo scorso attraverso "l'annuncio della burocrazia totale" scrivendo e descrivendo, in modo quasi ossessivo, la figura del burocrate. Dall'altra parte c'è Borges che, invece, ha chiuso la strada al vecchio secolo "inventando la letteratura virtuale" ovvero rielaborare il mondo reale con l'immaginifico, come se mancasse qualcosa nella vita di tutti i giorni, qualcosa che è impossibile da sopportare. Borges è il precursore di quel realismo magico che troviamo nei romanzi dell'italiano Massimo Bontempelli a metà del Novecento ma anche nelle opere di pittori che mescolano il reale con l'irreale, l'onirico e il fantastico. Quegli stessi artisti che apriranno la strada, con le loro opere simboliste e surrealiste, alle avanguardie artistiche. 

Pessoa si trova a metà strada, fra Kafka e Borges. Secondo Saramago, il mondo interiore di Pessoa è popolato da tutti i suoi personaggi. Pessoa e i suoi personaggi, potrebbe essere un titolo per un ciclo di studi sulla sua opera (tanto vasta quanto poco conosciuta al pubblico). Forse è rischioso parlare di multi-personalità ma probabilmente, almeno come concetto, ci si avvicina a quello che meglio rappresenta Pessoa scrittore.

Pensar, Pensar y Pensar contiene anche una riflessione acuta sulla figura di Gesù attraverso il romanzo Il Vangelo secondo Gusù Cristo edito nel '91. Come ha sottolineato Enzo Mazzi, in un articolo apparso su Il Manifesto a giugno 2010, nel romanzo sono riscontrabili precisi "connotati che caratterizzano la personalità dello scrittore scomparso (...). Prima di tutto la laicità intesa come anima profonda di tutto l’agire umano (...). Il secondo connotato è l’umanizzazione di Gesù (...). Il terzo connotato è una nuova visione dell’esperienza evangelica come momento esemplare della storia umana di liberazione". Senza addentrarci nel confronto tra Mazzi e Claudio Toscani, il quale aveva pubblicato, poco tempo prima, un articolo su L'Osservatore Romano, vorrei dare uno sguardo ai connotati di cui parla Mazzi spiegati dallo stesso Saramago nei suoi scritti. José infatti racconta delle sua laicità a proposito del romanzo, di come è nato, l'idea che sta dietro alla stesura di un libro del genere. Quella di Saramago è una laicità dirompente tanto nelle pagine quanto nelle sue parole, sorretta, tuttavia, da idee chiare da una visione storica del nostro passato e del presente. Quando parla del figlio di Dio umanizzandolo, partecipe degli accadimenti della società dell'epoca, Saramago non sta accusando il figlio di Dio o la Chiesa, non fa affermazioni blasfeme, lui racconta quello in cui crede. Mi verrebbe da dire che la sua laicità è fedele, fedele al suo modo di pensare. Così come l'idea di colpa tramandata di padre in figlio senza "capire di che colpa concreta si tratti". Saramago si appella a Freud e alla psicoanalisi come strumenti messi a disposizione dell'uomo per sviscerare questa colpa ancestrale e liberarsene definitivamente. 

Concludendo, vorrei riportare quanto Saramago ha espresso rispetto alla rivoluzione: "lasciamo la rivoluzione a dopo e cominciamo dalle piccole cose che si possono fare senza rivoluzione".
E le piccole cose si possono cambiare se l'uomo sta attento, infatti asserisce Saramago che ci si può "distrarre, avere un amore, andare al cinema ma dobbiamo avere la responsabilità di dire cosa succede, di chiedere il conto". In questa frase, sembra intravedersi il grido di Sartre molto tempo prima: "Siamo responsabili in quanto individui e questa responsabilità non può appellarsi né a un potere né a un Dio".

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