Il Guggenheim a Roma. L'avanguardia americana dal 1945 al 1980


Raccontare la visita al Guggenheim al Palazzo delle Esposizioni a Roma è come fare un salto indietro nel tempo, un salto di circa una settantina d'anni, ritornare al 1940 in un'America vibrante di idee, elettrizzata dai nuovi fermenti culturali che provenivano sia da una generazione di artisti scappati dall'Europa in seguito alle leggi razziali e alle insostenibili imposizione dettate dalle dittature, sia da una generazione di artisti che trovarono la loro culla soprattutto a New York.

E' proprio a New York nel 1942 che Peggy Guggenheim, nipote del grande collezionista Salomon R. Guggenheim, aprì The Art of this century Gallery. Appasionata di Surrealismo e Dadaismo, Peggy intravide in queste correnti artistiche un modo di fare arte destinato ad avere lunga vita: The Art of this century rappresenta il punto di partenza per molti artisti appartenenti all'astrattismo.

E così la mostra al Palazzo delle Esposizioni a Roma, Guggenheim. L'avanguardia americana 1945-1980, si apre con meravigliose opere di Jackson Pollock, il massimo esponente dell'astrattismo, come The moon woman (olio su tela, 1942) oppure con Circoncisione (1946). Stupenda anche l'opera di Arshile Gorky (Estate, 1944)

Le sale si succedono e ci si addentra sempre di più nell'astrattismo. E' un'esplosione di colori, una tempesta che agita gli animi, un concerto di emozioni. E mentre si ammira un altro quadro di Pollock, datato 1949, in cui usa smalto e pittura d'alluminio su carta ci si immagina l'artista, un po' dandy un po' James Dean, che si presentava alle feste e alle inaugurazioni di mostre con gli abiti macchiati e sgualciti.

Si viene rapiti, spostando lo sguardo, da un'opera di Willem de Kooning, (Compisition, 1955). E' di nuovo un'esplosione di colori, atmosfere sospese e irreali, fascinazione sorprendente di fronte a quadri che superano l'immaginazione. Figlia del surrealismo e del dadaismo, questa generazione di artisti abbraccia l'astrattismo come massima espressione di ricerca e autonomia di un proprio stile, di un proprio linguaggio, di un modo di fare arte legato al surrealismo ma che, almeno in parte, prende le distanze, per liberarsi e scivolare in campi sconfinati e indipendenti da qualsiasi movimento artistico precedente. 

Con la fine degli anni '50 si sviluppa una nuova tendenza della pittura astratta detta "hard edge" (bordo rigido). Una nuova sala si apre agli occhi dell'osservatore: ci si trova di fronte ad opere caratterizzate da una nettezza geometrica delle composizioni e una piattezza delle superfici di colore. Questa generazione di artisti sono stati presentati in una mostra nel 1966 al Guggenheim da titolo Pittura Sistemica. Tra i maggiori esponenti Morris Louis, Kenneth Noland e Frank Stella (quest'ultimo mi ha lasciato a bocca aperta con l'opera Harran II).

Ma è con il boom economico e la cultura del consumismo sviluppatesi nel secondo dopoguerra, ed in particolare verso la fine degli anni '50, che una nuova generazione di artisti aprirà la strada a un modo di fare l'arte che utilizza (con ironia e cinismo) il linguaggio impersonale della stampa commerciale e della produzione in serie. Inutile dire che i maggiori esponenti di quella che venne definita Pop Art furono Andy Warhol e Roy Lichtenstein. Orange Disaster #5 di Warhol e Grrrrrrrrrrrr!! di Lichtenstein hanno il potere di catapultarci in una New York in cui i grattacieli, le insegne al neon, le illuminazioni, i taxi, la cartellonistica non rappresentano solo l'inizio dell'era del consumismo ma il presente che stava diventando futuro. E si imponeva sulle persone con la stessa forza con cui si impone oggi.

Parallelo alla Pop Art si sviluppa il minimalismo che segna la rottura con la generazione di artisti cresciuti grazie a Peggy Guggenheim. La sala dedicata al minimalismo ospita uno degli artisti minimalisti per antonomasia, Donald Judd. Ma ci sono anche lavori di Richard Serra. L'ultima sala, invece, riguarda il Fotorealismo con opere di Bechtle, Cottingham e McLean (per citarne alcuni).

Una mostra curata nei dettagli che offre uno sguardo d'insieme allo spettatore che vuole conoscere l'avanguardia americana dal 1945 al 1980. Il titolo della mostra è quindi esplocativo ed esauriente di ciò che attenderà l'osservatore. Visitare le sette sale (ognuna dedicata a un determinato periodo artistico) è come fare un viaggio nel tempo in quell'America mitica ed evanescente che oggi resta incastrata nelle fotografie dell'epoca ma soprattutto nei quadri di questi grandi artisti. Ho adorato Pollock e i suoi squarci di un astrattismo scandito dall'espressionismo e dal surrealismo, ho ammirato il russo Rothko e De Kooning, sono stata entusiasta nel vedere che la mostra si apre con il pittore cileno Roberto Sebastian Matta Echaurren (padre dell'artista e scrittore Pablo, di cui adoro le opere e i libri), sono stata colpita dalla ricchezza di informazioni contenute nelle opere fotorealistiche. 

Una mostra che lascia senza fiato, che obbliga a continuare il percorso da Matta a Bechtle, realizzando che il tempo ha inghiottito questi grandi artisti ma non ha cancellato la loro forza e le loro idee. Queste permangono ed echeggiano anche nel nostro tempo, così superato e abusato.

3 commenti:

  1. Ho visitato questa mostra quando, a Pasqua, ho visitato la capitale: mi è piaciuta moltissimo, i quadri avevano la giusta posizione e il giusto spazio per essere ammirati come si deve.
    Mi è piaciuta soprattutto la parte dedicata ai fotorealisti - è la mia corrente preferita tra quelle del periodo preso in considerazione dalla mostra!

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    1. A me è piaciuta molto la sala dedicata alla pop art oltre a tutte le opere di Pollock, lo adoro! E poi da fan della famiglia Echaurren vedere che la mostra inizia proprio con il quadro di Matta mi ha fatto molto piacere. Unica cosa: avrei voluto più opere dedicate alla pop art

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    2. Anche a me piace molto Pollock :)
      In effetti ho notato anche io che la pop art non ha avuto molto spazio!

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